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Stanotte ti ho incontrata.
O almeno: ho incontrato la tua anima e il tuo corpo.
La stanza era buia. Avevi deciso tu che dovevamo “conoscerci” senza vederci. Ignaro del luogo mi muovevo piano, e intanto annusavo l’aria per sentire il tuo profumo. Di certo ti divertivi nel sentirmi a disagio in quell’ambiente a me sconosciuto. E così, dopo attimi che sembravano a me eterni, hai deciso di rivelarti a me attraverso la tua voce: “Son qua”. Un tono caldo, leggero, dal fantastico accento toscano. Mi sono avvicinato piano, e più mi avvicinavo, più percepivo il calore del tuo corpo. Appena ho capito di starti davanti ho cercato con la mano il tuo volto. Tu eri ferma, in attesa … silente … come dici sempre tu. Con le dita ho cominciato a percorrere la forma delle tue labbra. Come un disegno a carboncino, un tratto sicuro, senza cancellazioni. Sentivo che tu tendevi ad aprirle, forse eri tentata di muovere la lingua su quelle dita. Ma in te, come in me, l’attesa e il non concedersi era l’imperativo in quel momento.
Poi le dita hanno cercato altri contorni. I capelli … lunghi, il collo, le spalle … Più mi muovevo sul tuo corpo, più mi sembrava di conoscerlo. Le dita, inizialmente timide e leggere, avevano lasciato spazio alla carezza.
Nuda. Avevi deciso di concedere la tua pelle nuda al mio tocco. E quel contatto mi dava un brivido per ogni centimetro esplorato. Il mio corpo rimaneva distante, ma era difficile resistere al desiderio di un contatto. Le tue braccia erano poggiate sul muro. Ti stavi concedendo a me, cosciente che nulla avrei fatto contro di te. Non c’era opposizione alla mia esplorazione, che continuava timida e lenta. Cercavo il tocco leggero, ti sfioravo e ti lasciavo. Ti sentivo respirare piano, come se tu non volessi fare rumore, come se non volessi farmi capire dal ritmo del tuo respiro che il desiderio cresceva. Ma era il tuo corpo a parlare per te, perché quando allontanavo le dita lo sentivo avanzare piano a cercare di nuovo il contatto. Questo mi dava il coraggio di procedere e di osare oltre. E così mi accorsi che non eri completamente nuda .. forse le famose mutandine rosa … forse quel triangolo magico che tanti ha fatto e fa sognare. Mentre poggiavo timoroso la mia mano sul quel piccolo lembo, ho sentito finalmente la tua mano cercare il mio di volto. Una carezza così non l’avevo mai sentita. Come avevi scritto mille volte non stavi carezzando me, ma la mia anima. Poi anche l’altra mano, per stringere il mio volto ed avvicinarlo a te. Che dolcezza le tue labbra … sulle mie … leggere … chiuse. Ogni tanto le aprivi un pò, illudendomi di un bacio vero, ma appena poggiavo la lingua le serravi di nuovo. Ma era un gioco, e a me quel gioco piaceva. Ti mordevo per costringerti a cedere, ma tu resistevi, Più ti facevo male, e più rispondevi con altri morsi. Ormai il respiro era più forte in tutti e due. Adesso ero io però che volevo rimanere passivo ai tuoi baci, alle tue carezze, alle tue mani che ora si muovevano abili sulla mia pelle.
Da quanto durava il nostro gioco? Ma perché contare il tempo? Quella era un’isola, fuori dal tempo e dallo spazio. Un’isola dove esporare noi stessi l’un l’altra, dove cercare di sopravvivere al mondo esterno. Ero io ora passivo nelle tue mani, eri tu che avresti deciso se e come andare avanti in quel gioco. I tuoi baci leggeri, sfiorati, si muovevano sul mio collo, fino a stuzzicare il mio orecchio, fino a sussurrarmi decisa: “…………”

[Questo post non è scritto da me, ma è  il racconto di un sogno fatto questa notte da… ]