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XXI.



Nina sfiorò le labbra di Mohamed con la punta delle dita. Sorrise a quella bocca mordicchiata da lei la notte prima e si alzo, di nuovo, da letto.
Mohamed si stiracchiò con quasi la voglia di addormentarsi un po’.
Il fine settembre entrava silenzioso dalla finestra. Fuori il movimento della gente animava la strada. Mohamed non pensava. Sul suo volto non c’era stupore. Non c’era meraviglia o altro; appariva agli occhi di Nina imperturbabile, sereno, ma impassibile, e in lei in quel momento c’era una inaspettata voglia di legger qualcosa sul suo volto. Di cogliere un segno, un consenso, della reciprocità.
Per la prima volta Nina aveva necessità di risposte. Sentiva il bisogno di comprendere. Forse per paura, si diceva, o forse per capire meglio quello che stava movendosi dentro di sé.
Senza esitare troppo s’infilò la camicia di lui, gli sorrise ammiccando scherzosamente e si diresse in cucina dopo avergli detto non muoversi.
Non si fece attendere molto e sorridente tornò in camera, con un vassoio per far colazione a letto assieme a lui. Aveva portato caffè, biscotti e cornetti, oltre a marmellate e Nutella. Adorava coccolarsi e coccolare chi passava da casa sua. Era, Nina, molto generosa e ospitale; aveva uno strano senso del possesso, che si manifestava con i gesti più inaspettati. Fra tutti, si compiaceva di viziare l’altro, non per senso del dovere, ma solo per il gusto di vederlo in balia di lei. Nina conosceva bene il suo potere. Da sempre. Fin da piccola lo possedeva, era stato il suo modo per sopravvivere in una famiglia rigida, distaccata e troppo legata all’apparenze, dove quello che contava era il pensiero degli altri: gli estranei. E lei, sfacciatamente, stata al gioco dei suoi, aveva sempre cercato di seguire le loro direttive, ma non era mai stata davvero alle loro regole e aveva presto imparato a sfruttare sé stessa e quel potere che lei sentiva di avere su chi le gravitava intorno. Uomo o donna che fosse, restavano impigliati nella sua tela. Chi poco la conoscesse la credeva calcolatrice, fredda e distaccata come la sua famiglia. Nina era vita, glicine e farfalla insieme. E adesso seduta sulle sue lenzuola, con Mohamed nudo lo guardava e si chiedeva se lui facesse parte di chi andava oltre o chi da sempre si fermava. Desiderava un suo cenno un qualsiasi gesto che le facesse intendere che lui era suo Mohamed; quello da lei visto e creato dentro di sé. Desiderava non aver sorprese inaspettate e veder combaciare l’immagine creatasi dentro di lei con l’uomo che aveva di fronte. Mohamed sembrava quasi divertito dallo sguardo perso di Nina, la rendeva ancora più speciale. Quella donna forte e magnetica aveva sfumature da svelare ogni momento. Mohamed nella sua forza vedeva una fragilità preziosa. Quella fragilità tipica del fiocco di neve o della bolla di sapone. Non debolezza, ma delicatezza dell’esser quello che si è. Nina era se stessa.
Senza ringraziarla, senza dar cenno di parola o gesto, con la voglia di vederla ancora così fragile, Mohamed, si versò il caffè e, con lo stupore di lei, non assaggiò niente altro. La guardò dritta negli occhi, senza sorriderle, le disse di togliersi la camicia e si diresse a far la doccia.
Nina ripose il vassoio per terra, si tolse la camicia e si vestì, dopo aver messo su i Marlene Kuntz, E ho le tue mani da lasciarmi accarezzare il cuore immune da difese che non servono.
Mentre osservava la gente giù in strada, Nina, sentì Mohamed dietro di sé. Fermo immobile a pochi centimetri dal suo corpo, ne percepiva il respiro. Si sentì mancare l’aria. Il cuore le parve fermarsi. Adesso le mancava di sentir tremare le gambe e …
Desiderava che lui la stringesse a sé, voleva il suo corpo stretto a lei. Chiuse gli occhi in attesa di sentir le braccia di lui avvolgerla, sì girò d’istinto e lui non era più dietro di lei, seduto sul letto si stava infilando e le scarpe e raccogliendo le sue carte. Le sorrise e, avviandosi verso la porta, le disse: Si sta facendo tardi.
Lo vide uscire, come mai aveva fatto prima. Chiuse gli occhi e si appoggiò al muro.
Un trillo di campanello. Un brivido. È lui, pensò. Corse ad aprire. No, non era Mohamed.

(continua…)